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Employee advocacy: quando i dipendenti diventano “ambasciatori” verso pubblici e stakeholder esterni

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Sempre più spesso si sottolinea come influencer e stakeholder esterni giochino nell’attuale società a rete un ruolo cruciale nello sviluppo della reputazione organizzativa. Meno invece il ruolo giocato dai dipendenti in quanto advocates dell’impresa e difensori della reputazione stessa, come sottolineato in questo recente articolo comparso sul sito dell’Institute for Public Relations americano. Un elemento determinante in uno scenario esterno sempre più contraddistinto dalla disintermediazione nella rappresentanza di opinioni ed interessi.

Coinvolgere cluster di dipendenti con forte propensione nel condividere il valore riconosciuto della propria organizzazione consente ad esempio all’impresa di:
• supportare clienti o stakeholder chiave nell’utilizzo di prodotti o servizi o attraverso specifici programmi di customer care online
• agevolare la diffusione di temi organizzativi inerenti le attività dell’impresa
• attuare strategie di employer branding rafforzando sia all’interno che all’esterno la qualità del proprio brand come luogo di lavoro.

Opportunità e criticità legate all’attivazione dei dipendenti sono analizzate in un’interessante ricerca citata nell’articolo, realizzata da Weber&Shandwick con KRC Research che ha coinvolto circa 2300 dipendenti in 15 Paesi. Dalla ricerca in particolare  - consultabile al seguente link - emerge una classificazione dei dipendenti dalla quale è possibile rilevare indicazioni cruciali:

  • tra il 21% dei dipendenti definito “Pro-activists” – altamente ingaggiato e social media oriented, e un 26% valutato come “Pre-activists” – con un medio livello di engagement e di utilizzo delle tecnologie sociali – quasi la metà dei dipendenti coinvolti sono a diversi livelli advocates delle loro imprese.
  • non sono da trascurare tuttavia alcuni casi nei quali l’”attivismo” dei dipendenti può generare alcune criticità per l’organizzazione, rappresentati dal 13% dei “Detractors”, altamente critici nei confronti della leadership soprattutto offline, e dall’11 % dei “Reactivists”, generatori di azioni sia positive che negative riferite al loro posto di lavoro e particolarmente attivi online.
  • in una zona intermedia si situano infine i cosiddetti “Inactivists”, con bassi livelli di engagement e poco propensi ad argomentare positivamente all’esterno prodotti, servizi o temi organizzativi.

Attuare strategie e attività di employee engagement declinate in funzione dei diversi cluster identificati consente dunque all’impresa di coinvolgere potenzialmente le diverse tipologie di dipendenti per fare leva sull’impatto positivo generato dall’employee advocacy in termini di reputazione e sul business.


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